martedì 26 ottobre 2010

COSA RACCOGLIAMO INSIEME ALLE ARANCE.

Un pomeriggio di qualche giorno fa in via Dante (centro città di Milano) ho risposto sbrigativamente, con un gesto di stizza, a un ragazzo di colore che voleva vendermi qualcosa (libri, immagino). Avevo le mie ragioni, temevo d'aver perso il portafogli. Ma mi ha colpito la naturalezza e l'incredulità bonaria con cui lui ha reagito: "Eh, ma non vuoi parlare con me?". Per fortuna poi ho ritrovato il portafoglio, e quella stessa sera ho visto un film al Mexico di Milano, il cinema che è (quasi sempre) una garanzia. Era "Il Sangue Verde", premiato a Venezia e che ho perso quando l'hanno trasmesso su RAI3 che lo coproduce. Ero felicissimo di vederlo su grande schermo, in una serata organizzata da La Terra Trema, gruppo di riflessione e azione sui temi dell'alimentazione, agricoltura e allevamento sostenibili.

Il film mi ha fatto ripensare al ragazzo del pomeriggio e vergognare d'essere italiano e forse anche di essere umano. Il regista Andrea Segre racconta con umanità i fatti di Rosarno di qualche mese fa. Il punto di vista è quello della manodopera, ragazzi di colore intelligenti ma che parlano inglese o francese e non italiano (si sa, capita).
Il film incrocia sapientemente la loro storia e la cronaca con i problemi delle terre di Calabria che li hanno ospitati e respinti. Strappate al latifondo per darle al lavoro di piccoli agricoltori con le lotte degli anni '50 sono state poi espropriate dai soldi arrivati con lo "sviluppo" e le autostrade (i costruttori di strade avevano soldi mai visti prima). Aggiungiamo a questo l'emigrazione e l'uso distorto degli aiuti CEE. Fino ad oggi, giorno in cui la 'ndrangheta tratta questi ragazzi che raccolgono le arance come nuovi schiavi nell'indifferenza della popolazione e con l'insulto del nostro inetto governo (è sì che fan le lampade e vanno alle Maldive per sembrare più belli e negri, o no?).

Quello che il film dice è che la globalizzazione ci mette di fronte a problemi di incomunicabilità che qualcuno sfrutta, e forse sta nascendo un razzismo DOP italiano.

Per la prima volta avevo davanti a me 2 nuovi italiani che chiedevano solo dignità in quanto braccianti e zappatori. Era sconfortante sentir dire cose tipo "Non è giusto che veniamo maltrattati perché facciamo un lavoro duro che nessun altro vuole fare fare, ma è anche necessario. Noi lavoriamo, stiamo facendo il bene dell'Italia. E se ci pagano solo 25 euro al giorno non vale neanche la pena di lavorare... e non possiamo mandare i soldi alla nostra famiglia" (capivi che l'aspirational televisivo permette al tonto di giudicare questa gente inferiore e proiettare su di loro la vergogna della povertà con cui le TV berluscone hanno innaffiato l'Italia. E continuavano i ragazzi: "Io in Africa non ho mai dormito per terra e senza riscaldamento". E il tonto neorazzista italiano giustifica il razzismo facendo proprio il vecchio luogo comune che in Africa vivono ancora sugli alberi). Ma altro che jungla: molti di questi ragazzi scappano dalla guerra (postcolonialista): per esempio quando la madre di un ragazzo presente al cinema gli ha detto "Hanno già ucciso tuo padre e tuo fratello... Col carattere impulsivo che hai puoi fare una sola cosa, per la mia tranquillità: andartene". E lui è finito a Rosarno.
Raccontavano che se pioveva durante il raccolto delle arance, i calabresi "istintivamante" facevano smettere di lavorare e chiamavano sotto i ripari gli altri bianchi: bulgari, polacchi, romeni ma lasciavano i neri nei campi a raccogliere arance e mandarini, con l'acqua che entrava negli impermeabili nella stagione già inclemente. Come se i negri fossero più resistenti. Resistenti anche all'ignoranza, effettivamente quando commentano mezzi serafici e mezzi rassegnati: "Ok la solidarietà della pelle (quasi giustificandola, NdR) ma non è giusta questa solidarietà della pelle. Stavamo lavorando!".

Per fortuna c'era anche qualcosa di positivo e con la pelle bianca in quella serata: ad esempio la testimonianza di un uomo piemontese, un laureato che si è messo da qualche anno a fare formaggi di capra (zona Canelli). Sarebbe andato il giorno dopo a Bruxelles per chiedere all'Unione Europea che i finanziamenti all'agricoltura aiutino soprattutto le piccole medie aziende con il vincolo di mettere in regola gli immigrati.
Quest'uomo, Fabrizio, ha fatto nascere in me che sia nato un razzismo tutto italiano. Fabrizio faceva notare come l'ignoranza in quest'era di benessere prende nuove e impreviste forme: il razzismo coincide con il declassamento della donna a oggetto sessuale e con l'omofobia. Cancellare la diversità per arroccarsi nell'ignoranza e vivere di rimpianto per quei pochi anni che restano da vivere. L'Italia é marcia delle sue paranoie, dei suoi limiti che diventano vendetta e indifferenza contro i nuovi poveri? Sì certo, se marcio o terribilmente complicato non fosse il mondo, con tutte queste guerre in queste ex colonie dell'Occidente, e scappare non è più impossibile come un tempo. E quando la Signora Merkel dice che il multiculturalismo è un fallimento, ci indichi un percorso alternativo all'ascolto e all'integrazione. Piani B non ne vedo.

A fine spettacolo sono andato a ringraziare personalmente i 2 ragazzi presenti alla proiezione che venivano dal paradiso di Rosarno. Ero contento di non trovarmi davanti a un venditore di oggetti inutili ma a 2 persone emozionate, 2 gran bei ragazzi, 2 cittadini che mi chiedevano - e m'insegnavano - umanità.

martedì 12 ottobre 2010

IMPRINTING.

(già dal titolo, argomento congeniale a Radio Pavlov!)
Mi sono sempre domandato come funzionano desiderio e attrazione ossia perché una persona ci piace eroticamente e un'altra no.
L'estetica generata dall'arte classica greca e romana, o il canone rinascimentale sono per noi italiani parametri fondamentali a cui aggiungerei forse un pizzico di cinema neorealista. Poi è arrivata la TV commerciale, e in seguito internet o la globalizzazione con la relativizzazione e perdita di parametri che spinge molti a tatuarsi come carte geografiche per segnare almeno sul proprio corpo il territorio conosciuto. Ma la bellezza vera è una cosa, Fabrizio Corona un'altra.

Tornando a me e al mio senso della realtà desiderabile, unisco l'aspetto estetico/erotico al possesso d'intelligenza. I 2 ingredienti sono per me indissolubili, anzi lo diventano vieppiù col passare degli anni. Sono definitivamente lesbico, dovessi dirlo con una battuta, e l'approccio schizz'n'go alla vita, così diffuso tra gli omosessuali maschi mi lascia quasi del tutto indifferente. Sono un silver daddy coerentemente vintage.

Fatta la premessa, passiamo alla messa. Per un improvviso cortocircuito tra circostanze Facebook e ricordi, sono andato oggi a cercare qualcosa su un nome che da anni mi tornava in mente. E mi sono così reso conto della potenza di una figura che ha fatto da imprinting su ciò che trovo desiderabile nella vita e nella maschilità: Alberto Manzi, quello di "Non è mai troppo tardi".
Spiego a chi, tra i miei 25 lettori, è molto più giovane di me (grazie) o agli amati spagnoli. Negli anni '60 del secolo scorso, ossia quand'ho cominciato a capire le cose e un po' enfant prodige a leggere e scrivere, c'era quest'uomo in TV diventato poi figura mitologica: era un maestro che faceva lezione e alfabetizzava l'Italia del dopoguerra, cercando di dimuinire differenze regionali, svantaggio sociale e arretratezza. Aveva una personalità forte, stile coinvolgente e mai noioso, ed è per me diventato esempio e modello di riferimento.

Se devi spiegare argomenti, anche difficili, prova a farlo usando parole semplici o almeno aiuta la comprensione, circonstanziando bene gli argomenti ardui in un discorso fluido. Per i casi della vita poi il mio mestiere non è stato quello dell'insegnante, ma il pubblicitario (versione più glamour e moderna, senz'altro meglio retribuita del divulgatore) ma l'imprinting è stato quello. Ma quando ho fatto le trasmissioni radio e mi sono "riprogrammato" nella pronuncia e nello stile espressivo per essere compreso, il primo maestro è senz'altro stato quel bell'uomo di Alberto Manzi. Io, come l'Italia cuoriosa e attenta, pendevo dalle sue labbra (belle). Quando ho detto per anni che l'intelligenza mi eccita (aiutata dalla bellezza che riesce a generare), cercavo quelle labbra mediterranee.

Su wikipedia ho letto della sua gloriosa rivolta, lasciate le trasmissioni e tornato insegnante, contro l'introduzione dei giudizi da dare sugli alunni a scuola al posto dei voti.
Alberto Manzi li trovava assolutamente inadeguati: "Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato per i prossimi anni".
E quando per questo lo sospendono dall'insegnamento (lui! a cui dovevano dare il Ministero della Pubblica Istruzione!) si mostrò disponibile a una valutazione riepilogativa unica per tutti i ragazzi con un timbro (!!!) il giudizio era: "Fa quel che può, quel che non può non fa". E quando il Ministero della Pubblica Istruzione si mostra contrario alla valutazione timbrata. Manzi risponde dicendo: "Non c'è problema, posso scriverlo anche a penna".

Forse evitare il timbro è una cosa che può aiutare in quest'epoca di neoanalfabetismo digitale, dove l'espressione di sé è limitata ai 140 caratteri di un sms o Twitter e si ferma per paura già prima. L'intelligenza non può esibirsi, per esempio, nei profili di ricerca dell'anima gemella o di cucco online, e le descrizioni di sé fanno pensare alla razza umana come a un esperimento malriuscito.
"Va' avanti" è l'imperativo morale, non perdere fiducia o pazienza. "Non è mai troppo tardi".

giovedì 7 ottobre 2010

IL RUMORE DEL SILENZIO.












Ci sarebbe molto da dire sull'angosciante vicenda della piccola Sarah uccisa e violentata dallo zio, sulla cugina che sapeva e copriva, sullo zio che rilasciava interviste, sulla madre di Sarah che avevi sospetti, sul tanto sbandierato "valore dalla famiglia" vs la violenza spaventosa che in realtà può esercitare (come diceva Susan Sontag).

Il semplice svolgersi degli avvenimenti non si discosta molto da una fiaba di Perrault o dei Fratelli Grimm: ne sarebbe solo una versione contemporanea ed elettrificata.

Ma qui purtroppo c'è proprio di più: c'è una vergogna provata dallo spettatore (ad esempio me, che neppure guardo la TV) e che trova paragone solo, chissà, con quella provata del pubblico nell'inesorabilità intensa e rituale della tragedia greca antica. Ma lì era solo rappresentazione e portava alla catarsi. Qui porta all'audience e lascia la ferita aperta.

Ci sarebbe molto da dire sull'esposizione pubblica del privato cui siamo ormai abituati, sulla violenza esercitata verso persone consenzienti facendo leva sulla loro vanità. Questa violenza è arrivata al punto di non ritorno nell'immagine della madre di Sarah pietrificata mentre riceve la notizia della confessione di suo cognato seduta nel salotto della casa di lui, in diretta TV.

E' l'implosione della cosiddetta normalità. E' la messinscena che non riesce più ad autocertificarsi come verità. E' il Grande Fratello con il morto, la povera ragazza che dal paesello voleva scappare.

E' scontro tra istinto/civiltà ancestrale da un lato e mondo "moderno"/culto dell'immagine dall'altro. Barbablu voleva approfittarsi della nipotina, l'ha fatto e non siamo riusciti a spegnere la TV in tempo.

Ci sarebbe molto da dire, l'urlo morale chiede "ma stai zitto", e non ce la faccio. Ho vergogna che una cosa del genere sia successa.